“BERSERK” DI KENTARO MIURA: CI PIACE RICORDARLO COSÌ

“Era un oggetto troppo grande per chiamarlo spada.
Troppo spesso, troppo pesante e grezzo. Un enorme blocco di ferro.”

Per il secondo appuntamento con la rubrica “Dalla libreria” abbiamo un post smaccatamente nostalgico. Tecnicamente non sarebbe giusto archiviare Berserk tra i fumetti più vecchi e “completi”, dato che è ancora in corso di pubblicazione, ma – come da titolo – preferisco concentrarmi sul vecchio arco narrativo del manga, indubbiamente il più riuscito.

Berserk arriva in Italia nel 1996, ben sette anni dopo l’uscita della prima edizione in Giappone. Dopo una tiepida accoglienza da parte del pubblico, il fumetto sale rapidamente al vertice dei titoli Planet Manga più venduti. Dal 2000 in poi la serie è stata nuovamente pubblicata in diverse collane, delle quali alcuni numeri sono oggi esauriti.
Come molti di voi (tristemente) sanno, la storia editoriale di Berserk è piuttosto travagliata: la lentezza dell’autore e la discontinuità della pubblicazione hanno fatto sì che il fumetto non sia ancora concluso. Dopo un’interruzione particolarmente lunga, che aveva spinto i fan a pensare che la serie sarebbe rimasta definitivamente incompiuta, Miura si è rimesso all’opera. Il tutto però continua a procedere a rilento, quindi la fine sembra ancora lontana.

Le vicende narrate in Berserk si svolgono in un cupo Medioevo dark-fantasy. Il protagonista, Gatsu, è un guerriero maledetto che vaga per le Midlands in cerca di vendetta contro la Mano di Dio, un gruppo di potentissimi demoni. Nel corso della sua ricerca dà una caccia spietata ai cosiddetti Apostoli, esseri mostruosi asserviti alla Mano di Dio che hanno sacrificato una parte di se stessi in cambio di un’esistenza sovrumana. Lo scopo di Gatsu è quello di trovare il Bejelit, un misterioso artefatto che – in particolari condizioni – consente di evocare i cinque arcidemoni, normalmente situati in un altro piano esistenziale.

Gatsu non è un uomo ordinario. È l’unica persona al mondo capace di brandire l’Ammazzadraghi, una spada esageratamente enorme e pesante; inoltre possiede una determinazione e una forza d’animo fuori dal comune. Ma a tenerlo in vita, più di tutto, è l’odio fortissimo che prova verso la Mano di Dio. Più precisamente verso Phemt, che gli ha impresso lo strano marchio che ha sul collo.

Dopo un inizio leggermente “statico”, nel quale lo schema delle peregrinazioni di Gatsu rischiava di diventare monotono (nonostante le scene decisamente “forti” e gli spargimenti di sangue a piene mani), Berserk si rivela in tutto il suo splendore: un’opera cupa, maestosa, innovativa e curatissima sotto ogni aspetto, a cominciare da quello grafico. Sono evidenti le influenze di manga come Ken il guerriero di Buronson e Tetsuo Hara e Devilman di Go Nagai: con quest’ultimo Berserk ha una certa affinità sia per i temi sia per i disegni; lo stile di Miura, però, è più elegante e dettagliato rispetto a quello del suo illustre collega. Nonostante siano presenti nel lavoro del mangaka anche altre fonti d’ispirazione (tra le quali si possono annoverare produzioni cinematografiche occidentali come Hellraiser), Berserk è un fumetto unico nel suo genere. 

Il lunghissimo flashback sulla vita del protagonista costituisce l’apice della serie. Assistiamo alla nascita di Gatsu, venuto alla luce dal grembo di una donna morta impiccata a un albero; raccolto da Sys, la compagna del capitano di ventura Gambino, Gatsu cresce in mezzo a una compagnia di mercenari e viene addestrato fin dalla più tenera età al combattimento. La sua infanzia è quindi segnata dalla violenza, anche per via dell’atteggiamento ostile che il padre adottivo ha nei suoi confronti: a causa di alcuni tragici eventi, infatti, Gambino è convinto che Gatsu sia un bambino “maledetto” che porta sfortuna al prossimo (convinzione che deriva anche dal modo in cui il ragazzo è venuto al mondo, considerato un segno di sventura).
Quando Gatsu scappa dall’accampamento in seguito a un incidente del quale è ritenuto responsabile, è nuovamente accolto da una brigata di ventura. Per lungo tempo continua la sua vita errabonda e pericolosa, spostandosi da un conflitto all’altro senza tregua, finché un giorno s’imbatte nella Squadra dei Falchi capitanata dall’ambizioso Grifis. Qui il nostro eroe è nuovamente costretto a unirsi a una banda di mercenari: viene infatti sfidato a duello e battuto da Grifis, che come condizione aveva posto proprio che Gatsu si unisse alla compagnia in caso di sconfitta.

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Seguono gli anni nei quali la Squadra dei Falchi avanza inarrestabile, collezionando un’impressionante serie di vittorie sui campi di battaglia, fino a riuscire nell’impresa di porre fine alla guerra che da oltre cent’anni sta devastando le Midlands. La Squadra dei Falchi diventa così l’esercito più importante del paese, al quale sono tributati onori inimmaginabili. Gatsu nel frattempo sembra aver trovato il suo posto ideale: è il comandante della squadra d’assalto, i suoi uomini lo adorano, per la prima volta in vita sua ha degli amici. Prova qualcosa per Caska, sua compagna d’armi con la quale all’inizio ha avuto un rapporto burrascoso, ma che forse comincia a sua volta a ricambiare i sentimenti di Gatsu. Eppure il guerriero, ispirato dai discorsi di Grifis sull’importanza di perseguire i propri sogni, comincia a chiedersi se nella sua vita possa esserci qualcosa di più che combattere per conto di qualcun altro.
In questa fase, nota come Golden Age, è introdotta una lunga serie di personaggi perfettamente caratterizzati: in primis i compagni d’avventura di Gatsu, tra i quali spiccano Grifis, Caska, Judo, Kolcas, Pipin e Rickert; ma anche il Re delle Midlands e la principessa Charlotte, l’infida regina, il minaccioso conte Yulius e i sinistri consiglieri di corte, ufficiali e sicari, nobili e feccia della peggiore risma (addirittura un demone, il possente e spaventoso Zodd l’Immortale, col quale Gatsu ha uno scontro che arriva quasi a costargli la vita). La cosiddetta Età dell’Oro è un complesso e magnifico affresco, tanto avvincente e raffinato nelle tematiche quanto “crudo” e violento.
Il tutto si conclude tragicamente quando la smisurata ambizione di Grifis porta la Squadra dei Falchi alla rovina. Nel sanguinoso epilogo dell’Eclissi Gatsu subisce delle perdite devastanti, sia a livello fisico che emotivo. Qui termina il flashback e si ritorna all’inizio della storia, con Gatsu che prosegue determinato e inarrestabile nella sua ricerca di vendetta contro Grifis (assurto al rango di demone col nome di Phemt, le Ali delle Tenebre).

Ed è qui che Kentaro Miura fa quello che, a mio modesto avviso, è stato un errore fatale: continuare la narrazione. Perché, considerando ciò che viene dopo, terminare il tutto con l’Eclissi avrebbe consacrato Berserk come IL capolavoro assoluto. Una storia perfetta, grandiosa, priva di sbavature. Personalmente avrei preferito un “finale aperto” del genere, circolare, che torna all’inizio del racconto. Qualcuno potrebbe protestare che una scelta come questa avrebbe lasciato in sospeso parecchi interrogativi, ma è proprio in una simile eventualità che trovo il suo fascino. Perché Gatsu, per certi versi, è un eroe condannato in partenza: come può un semplice uomo uccidere un Dio? [1]

I temi toccati da Berserk sono molteplici, ma spiccano l’ineluttabilità del destino dell’uomo e l’illusorietà del libero arbitrio (nel corso dell’opera si fa spesso riferimento al fatto che ogni creatura viva immersa nel “flusso del karma”). Gatsu, fin dalla nascita, appare predestinato a una sorte avversa e fatale. Il tutto è sottolineato dagli avvertimenti di entità come Zodd l’Immortale e il Cavaliere del Teschio, che con frasi enigmatiche mettono Gatsu in guardia contro l’imminente avvenimento dell’Eclissi (azzardando un’opinione, si potrebbe cogliere in questo caso una similitudine con le profezie delle streghe della brughiera in Macbeth).

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Inoltre, anche nel caso di un’improbabile vittoria contro Phemt, Gatsu è stato irrimediabilmente legato al male. Il marchio che ha sul collo attira continuamente spiriti maligni che reclamano il possesso del suo corpo e della sua anima, dovunque vada è perseguitato dall’oscurità. Se ha mai conosciuto la pace è stato per un breve periodo, e difficilmente potrà trovarla di nuovo dopo quanto gli è successo. Perciò, forse, sarebbe stato meglio lasciare il suo destino all’immaginazione del lettore.

Invece le avventure di Gatsu proseguono. Ovviamente continuiamo a seguirle, sperando nel profondo che il “Guerriero Nero” riesca nella sua missione impossibile. Perché se esiste qualcuno capace di uccidere un dio, quello non può essere altri che l’uomo capace di brandire una spada come l’Ammazzadraghi.
Tengo a precisare che non boccerei in tronco tutto ciò che viene dopo l’Eclissi. Ho apprezzato molto l’arco narrativo di Lost Children, e le vicende immediatamente successive che s’incentrano sull’Ordine della Sacra Catena Ferrea hanno il loro perché (l’inquisitore demoniaco Mozgus? Puro Miura), anche se in quella fase vedo un po’ l’inizio della fine. Tuttavia, sarebbe stato meglio se queste vicende (che costituiscono la saga della Condanna) fossero state sacrificate a favore della Golden Age.

Le cose cominciano a deteriorarsi dalla fase de Il falco dell’impero millenario e vanno definitivamente in malora con Fantasia (la saga attualmente in corso d’opera). La formula dell’eroe solitario è sostituita da quella in stile party di Dungeons & Dragons, e la cosa peggiore è che nessuno degli elementi di questo gruppo funziona. Gatsu assume una sfumatura notevolmente più “tamarra”; l’elfo Pak, l’unico che fin dall’inizio gli ha fatto da “spalla” (in tutti i sensi, standogli spesso appollaiato addosso), da personaggio bello e utile per smorzare l’eccessiva tensione della storia è stato degradato a costante siparietto comico, con effetti più imbarazzanti che divertenti. Non mi soffermo neanche sul piccolo ladro Isidoro, che fin da subito avrei voluto facesse la stessa fine dei bambini di Lost Children. Irritante all’ennesima potenza. La presenza della streghetta Shilke, affiancata dall’elfa Ibarella, non è negativa di per sé: semplicemente, trovo sia “sbagliata” per questa storia in particolare. Farnese de Vandimion? Un eccellente personaggio, finché fa parte della schiera dei cattivi, ma perde tutto l’interesse quando passa dall’altra parte della barricata. Stesso discorso per Serpico, la sua guardia del corpo (e suo segreto fratellastro), che pure inizialmente prometteva bene. Infine, diciamoci la verità, Caska ridotta a povera demente in seguito agli eventi dell’Eclissi ha abbondantemente stufato. Il gruppo, semplicemente, non convince. E non convince nemmeno il percorso di “redenzione” sul quale Gatsu sembra avviarsi.

Anche in quanto a nemici c’è poco di cui stare allegri. Non ho gradito la piega presa dagli eventi che riguardano Grifis/Phemt e i Nuovi Falchi (ma ammetto che questi sono gusti personali) e ho trovato l’invasione della Midlands da parte dell’esercito Kushan mortalmente noiosa. Per non parlare delle figure incontrate dai nostri eroi durante il viaggio per mare verso l’Isola degli Elfi, sulle quali stendo un velo pietoso.

Allo stato attuale delle cose, è chiaro che Berserk ha preso una piega decisamente più fantasy e molto meno oscura. Ciò è evidente anche dai disegni: tecnicamente impeccabili ma diversissimi da quelli di Miura all’apice dell’opera. Le tavole scure dal tratto “nervoso” sono sparite, rimpiazzate da disegni più addolciti che contrastano in maniera spiacevole con quelli precedenti. Confrontare ciò che Berserk era con ciò che è diventato, insomma, lascia con l’amaro in bocca.

Perciò, alla fatidica domanda “Berserk è un capolavoro?” sono costretta a rispondere no, seppur con la morte nel cuore. Perché un capolavoro, per essere definito tale, dev’essere ineccepibile nel suo complesso. E Berserk purtroppo, oltre a non essere ancora finito, non rispetta questo punto fondamentale.
Detto questo, non vorrei scoraggiare i potenziali nuovi lettori di quest’opera. Consiglierei a chiunque di leggere Berserk, perché nonostante tutto rimane un must assoluto. E anche se ho smesso da tempo di credere che Miura possa sorprenderci chissà, magari un giorno sarò costretta a ricredermi.
Una piccola parte di me, sicuramente, ci spera ancora.        

[1] God of War risponderà a questa domanda solo qualche anno dopo.

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