BITCH PLANET: L’IMPORTANZA DI ESSERE NON COMPIACENTI

BP coverDopo Pretty Deadly, Bao Publishing porta in Italia un’altra opera della sceneggiatrice statunitense Kelly Sue DeConnick: Bitch Planet, serie pubblicata da Image Comics, che la fumettista ha ideato assieme all’artista Valentine De Landro (X-Factor).
La storia è ambientata in un futuro distopico caratterizzato da una società patriarcale moralista e misogina. Qui le donne bollate dal governo totalitario come non compiacenti, ovvero non conformi per vari motivi alle caratteristiche imposte al genere femminile, sono esiliate su un pianeta-prigione chiamato Avamposto Detentivo Ausiliare (noto sulla Terra col soprannome Bitch Planet).
La narrazione si svolge su due fronti opposti: da un lato seguiamo le vicende delle donne rinchiuse in carcere; dall’altro sono illustrate le dinamiche decisionali del Consiglio dei Padri, che influenzano sia la vita sulla Terra sia le vite delle detenute sul pianeta correzionale.

Tra i principali strumenti di controllo del governo sulla società vi sono le trasmissioni televisive, grazie alle quali viene monitorato l’engagement del pubblico. A tal proposito assume particolare rilevanza il Megaton (o Duemila), uno sport derivato dall’antico calcio fiorentino, che è il gioco più seguito dalla popolazione. Proprio il Megaton funge da improvviso punto di contatto fra i due lontanissimi pianeti, quando alla prigioniera Kogo Kamau viene chiesto di organizzare una squadra di giocatrici per rendere più spettacolare lo show. Le NC – non-compliant, ovvero non compiacenti – diventano così le gladiatrici di questo panem et cirsenses. Ovviamente, sono consapevoli del fatto che «le donne perdono, se fanno il gioco degli uomini seguendo le loro regole».

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Anche se in un primo momento viene naturale collegare Bitch Planet alla popolare serie televisiva Orange Is the New Black, anch’essa ambientata in un carcere femminile, DeConnick ha affermato di aver non aver voluto guardare la serie (http://www.wired.com/2014/12/bitch-planet-comic-deconnick/) proprio per non rischiare di esserne in quale modo influenzata. L’autrice si è ispirata piuttosto ai cosiddetti Women in prison, un sottogenere dei film d’exploitation. Bitch Planet presenta infatti numerose caratteristiche di questo filone cinematografico, come i soprusi e le violenze delle guardie ai danni delle detenute. La DeConnick, inoltre, gioca con i cliché tipici dei WIP: ne è un esempio la sequenza ironicamente intitolata «L’obbligatoria scena della doccia». Il linguaggio provocatorio degli autori mantiene però un buon equilibrio e, anziché scadere nel piacere voyeuristico della violenza cui spesso indulgono certi film, risalta al meglio la volontà di ribellione delle protagoniste.

bitch-planet-1-deconnick-de-landro-image-01 [www.imagesplitter.net]Parlando di difetti, la DeConnick si concentra eccessivamente nell’affermazione del suo punto di vista femminista, a scapito della creazione di un mondo convincente: il risultato è che i personaggi appaiono troppo abbozzati o stereotipati, così come tutti i rapporti interpersonali. L’unica eccezione è costituita dal flashback sul passato della carcerata Penelope Rolle, finora l’unica protagonista della storia il cui carattere viene approfondito. Proprio i flashback potrebbero essere un mezzo per ovviare in futuro a questo problema, dando vita a personaggi più sfaccettati.

I disegni di Valentine De Landro – con i colori prevalentemente scuri di Cris Peter – rendono bene l’atmosfera violenta e oppressiva del carcere, costantemente monitorato dalle telecamere e pieno di schermi sempre accesi, le cui trasmissioni mirano a condizionare il comportamento delle detenute. Un particolare realismo è riservato ai corpi femminili. Sul pianeta sono rinchiuse donne di tutte le etnie ed estrazioni sociali, che costituiscono una gran varietà di tipi fisici. La nudità è spesso presente, e De Landro non si risparmia nel raffigurare corpi “veri”: corpi di ogni tipo e colore nella loro essenzialità, compresi tatuaggi, cicatrici, difetti fisici, muscoli, grasso. Corpi che contrastano con l’ideale di perfezione costantemente riproposto nella società di Bitch Planet, dal quale non è permesso allontanarsi.
Dal punto di vista grafico è interessante anche il lavoro di Brian Hughes, creatore del logo e delle copertine della serie, nonché curatore del book design. Le pagine pubblicitarie da lui realizzate e inserite tra un capitolo e l’altro, con le illustrazioni bidimensionali dai colori accesi corredate da scritte in grassetto, ricordano le inserzioni pubblicitarie che comparivano sui giornali in America tra gli anni Venti e Cinquanta. Tale stile, applicato al contesto creato da De Connick e De Landro, crea un efficace effetto surreale. Un’ispirazione all’estetica dell’arte retrò si coglie anche nei flashback del terzo capitolo, illustrato da Robert Wilson IV.

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Bitch Planet è un pugno nello stomaco, ma sa anche essere a suo modo divertente. Nel complesso si preannuncia come uno sci-fi femminista, audace e avvincente che propone in modo originale un messaggio anticonformista. Un dito medio alzato contro tutte le etichette della società.

[Articolo pubblicato su Lo Spazio Bianco il 30/11/2015]

2 Risposte a “BITCH PLANET: L’IMPORTANZA DI ESSERE NON COMPIACENTI”

  1. è uno dei fumetti che più desidero e sto rosicando parecchio di non averlo ancora recuperato. mi sembra, per quel che ho letto in giro, una metafora perfetta della nostra condizione attuale.

    1. Diciamo che, come tutte le distopie, presenta una situazione più simile a quella in cui viviamo di quanto ci piace pensare.

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