“DIMENTICA IL MIO NOME”, DI ZEROCALCARE: LA RECENSIONE

Il lunedì è il luogo dove tendono tutti i sogni, i progetti e gli sforzi del genere umano. Esso è il Principio e la Fine, il Deus ex machina di tutti i procrastinatori. Lo sa bene Zerocalcare, che si ritrova ad aggiornare il suo blog ogni lunedì. O almeno ogni maledetto lunedì su due, le volte in cui gli impicci si accumulano e il tempo è tiranno.

Dedicare la prima recensione di questo blog all’ultima opera di Zc è stata una scelta meno semplice del previsto. Nei giorni scorsi è stato impossibile contare gli articoli, le anteprime e i commenti che affollavano ogni angolo del web (e non solo). Perciò il timore di essere banale mi aveva quasi spinta a ignorare l’elefante nel salotto. L’armadillo sul comodino, in questo caso.
Poi ho capito che parlare di bei fumetti non è mai un errore. E che se questo progetto doveva iniziare di lunedì, Zerocalcare era senza dubbio la compagnia giusta. Inoltre oh, meglio evitare di far incavolare l’Armadillo, che non si sa mai.

L’attesa era alta. Basti pensare che “Dimentica il mio nome” è balzato in vetta alla classifica dei bestseller di Amazon, scavalcando con disinvoltura Ken Follett (questa non me la sono inventata, eh, i più diffidenti possono andare a controllare). I quattromila esemplari dell’edizione Variant realizzata a quattro mani da Zerocalcare e Gipi sono andati sold out a una tale velocità da far bloccare il sito della Bao Publishing (di nuovo, potete controllare qui). Alla presentazione del libro, avvenuta lo scorso mercoledì alla libreria “Alastor Milano Fumetto”, l’autore ha finito di firmare gli autografi ai fan dopo ben tredici ore (!). Se non mi credete… vabbe’, ci siamo capiti.

L’attesa era alta, d’accordo. Ma cosa ci aspettavamo da questo fumetto, esattamente?
Io non sapevo bene cosa aspettarmi, ma di una cosa ero abbastanza sicura: con la sua ultima fatica, Zc avrebbe superato se stesso. Infatti non sono rimasta delusa.
Quando ho preso in mano “Dimentica il mio nome” con l’intento di cominciarlo era già sera tardi. Assaporando l’odore di libro nuovo, mi sono proposta di concedermi giusto un assaggio e gustare il resto con calma, a piccole dosi. Circa 233 pagine dopo ero ancora lì, con il libro ormai finito e il vago rimorso delle promesse non mantenute relegato in qualche angolo remoto della mia mente. I rimpianti dei fumetto-dipendenti.

Il salto di qualità è evidente fin da subito: la copertina – per la prima volta – cartonata, il tratto familiare e al tempo stesso più raffinato, i brevi capitoli che scorrono in maniera più fluida e compongono la storia principale senza soluzione di continuità. I tocchi di arancione che spiccano sul solito bianco e nero sono una scelta funzionale ai fini della trama, come avrà modo di vedere il lettore più avanti. Lettore che fin dalle prime pagine diventa spettatore di un momento estremamente intimo della vita del protagonista: la perdita della nonna materna, una delle due donne cui questo libro è dedicato.
La scomparsa di Mamie, della quale il piccolo Zerocalcare non ha mai pronunciato il nome (per ragioni più che valide per chiunque si sia trovato a dover sopravvivere in quella spietata giungla nota come gli anni ’90) lascia aperta una serie di interrogativi: come è arrivata a Rebibbia una distinta signora di origini francesi, cresciuta in mezzo ai discendenti della nobiltà russa ormai decaduta? Da dove venivano i demoni che per tanti anni l’hanno perseguitata come ombre? Ma soprattutto chi è Iris, e perché la sua identità è sempre stata un tabù?
I tanti misteri che avvolgono l’esistenza di questa figura così importante per il protagonista sono lo spunto da cui parte la narrazione.

“Dimentica il mio nome” è un gran bel libro. Leggendolo si riesce a intuire con quanta pazienza e cura l’autore abbia messo assieme ogni frammento, ogni ricordo, fino a ricostruire la storia della sua famiglia in un abile intreccio di realtà e fantasia.

Benché Zerocalcare metta sempre parecchio di sé nelle sue storie, questa è senza dubbio la più personale: un racconto pieno di paure, di rimpianti, di perdite. E poi i suoi ricordi sparsi qua e là, come le briciole lasciate cadere sul sentiero da Pollicino, le esperienze che hanno plasmato la sua personalità fino ad oggi. Anche stavolta si distingue sullo sfondo la presenza di Rebibbia, sacro quartiere cui Zerocalcare è legato da un rapporto esclusivo e rassicurante; legame che è paragonato al “morboso rapporto marsupiale simbiotico” che da bambino aveva col Pisolone, sacco a pelo a forma d’orso in cui si rifugiava da bambino per sfuggire alle proprie incertezze. Assistiamo finalmente alla nascita dell’Armadillo, celebre alter ego dell’autore e principale interlocutore immaginario, frutto delle sue nevrosi infantili.
Sarà proprio la ricerca delle rassicurazioni dell’infanzia a scontrarsi con le forze provenienti dall’esterno, che col passare del tempo sono diventate sempre più opprimenti.

Una delle principali armi di Zerocalcare è la consueta autoironia con cui affronta questo difficile percorso, permettendoci di accompagnarlo fino alla fine alterando risate a momenti di commozione.
L’altra è la rara capacità di far immedesimare il lettore in una storia nella quale è sorprendentemente facile riconoscersi, seppure sia unica. Unica come lo è quella della sua famiglia, ma anche quella di ciascuno di noi.

“Sapere quante cose si sono accumulate per arrivare fino a te ti dice anche qualcosa di chi sei”: questa è una delle frasi particolarmente significative che avviano alla conclusione del racconto. Zerocalcare paragona le vicissitudini dell’esistenza umana alla lenta metamorfosi di un tronco d’albero; riprendendo questa metafora, si può dire che nessuno può ignorare il ruolo svolto dalle radici nel determinare parte della propria identità.
Al termine di questa esperienza il protagonista ne esce arricchito e in qualche modo purificato. La malinconia si stempera nella serenità di una nuova consapevolezza, la storia si chiude in un perfetto cerchio che rimanda al suo inizio.
Alla fine il passaggio da ragazzo a uomo si è concluso. Zerocalcare è cresciuto, in tutti i sensi.