“IL CANE CHE GUARDA LE STELLE”, DI TAKASHI MURAKAMI: LA RECENSIONE

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In un’auto abbandonata sul ciglio di un sentiero isolato, vengono trovati i corpi senza vita di un uomo e di un cane. La cosa più strana, tuttavia, è che l’animale sembra morto parecchio tempo dopo il suo padrone. Questo l’inizio de Il cane che guarda la stelle, manga scritto e disegnato da Takashi Murakami, portato in Italia dalla J-Pop in occasione di Lucca Comics & Games 2015.

Leggendo il libro di Murakami è inevitabile, almeno all’inizio, fare un paragone con la storia di Hachiko. Quando il suo padrone morì, il fedele akita inu continuò ad aspettarlo per quasi dieci anni alla stazione di Shibuya, dove l’uomo si recava per andare al lavoro (e dove il cane lo accompagnava tutte le mattine, per poi attendere puntuale il suo ritorno a casa). Tuttora, nel suo paese, Hachiko rappresenta l’emblema di affetto e lealtà. La sua storia, oltre a essere stata il soggetto di libri e film, viene citata più o meno direttamente in diversi manga e anime. Eppure, il racconto di Murakami si differenzia da tutte queste opere per la sua originalità. Non solo l’autore sceglie di narrare la storia partendo dall’epilogo, ma lo fa adottando un punto di vista insolito: quello del tenero Happy, il cane che fino all’ultimo rimane accanto al proprio padrone, da lui amorevolmente soprannominato Papà.

La storia si divide in due parti. La prima, che dà il titolo al libro, è un flashback che ripercorre l’intera esistenza di Happy. Il cane viene adottato da una famigliola di tre persone: la piccola Miku, che lo raccoglie quando è ancora un cucciolo, la Mamma e il Papà. In poche pagine, Murakami descrive le diverse interazioni tra Happy e i membri della famiglia: lo vediamo giocare con la bambina, essere rimproverato dalla madre quando combina dei pasticci, fare le sue lunghe passeggiate quotidiane con il padre. Con il passare degli anni avvengono dei cambiamenti negli equilibri della casa; Happy assiste a queste dinamiche, ma senza poterne comprendere appieno la natura. Tutto muta radicalmente, però, quando il Papà si ammala e perde il lavoro. Abbandonato dalla moglie e costretto ad andarsene di casa, l’uomo parte per il suo ultimo viaggio in compagnia del fedele animale. L’affetto di Happy per l’uomo è immutato, al contrario di quello dei suoi familiari.

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Il protagonista della seconda parte del racconto, intitolata I girasoli, si chiama Kyosuke Okutsu: è l’assistente sociale cui viene affidato il compito di occuparsi della sepoltura del cadavere del Papà, rimasto non identificato. Il nome di questo personaggio non è casuale: Okutsu deriva dal termine okutsuki, che indica il cimitero e il luogo dove riposano le anime. L’uomo, ancora gravato da un antico lutto, darà una degna sepoltura ai protagonisti e cercherà di ricostruirne la storia; alla fine di questo percorso, riesce a liberarsi dal peso del proprio passato.

Se il secondo capitolo de Il cane che guarda la stelle costituisce una sorta di requiem per le anime di Happy e del Papà, morti in solitudine benché sereni, il primo racchiude una velata critica alla società odierna e alla disgregazione dei nuclei familiari. Tuttavia Murakami non rende mai esplicito questo suo giudizio, preferendo concentrarsi sulla narrazione dell’ultimo viaggio – gioioso, nonostante tutto – dei due protagonisti. Non c’è nemmeno una condanna morale verso la Mamma e la figlia, se non quella formulata dal lettore: Murakami si limita a ricondurre le ragioni del comportamento umano alla metafora del “cane che guarda le stelle”, espressione che indica un individuo che si affanna per raggiungere qualcosa che non può avere. Nella visione dell’autore siamo tutti “cani che guardano le stelle”, perennemente impegnati nella nostra ricerca. Il tono non è di biasimo, ma di pura constatazione.

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La variant cover realizzata da Elisa Macellari.

Il maggior difetto di questo manga è piuttosto evidente: i disegni. A dispetto dell’estrema focalizzazione su alcuni piccoli dettagli, il tratto di Murakami è per lo più abbozzato e dalle proporzioni approssimative, se non irrealistiche. La differenza più grande si nota fra le figure canine e quelle umane: tanto le prime sono dettagliate e tenere, quanto le seconde sono essenziali e talvolta rozze. Si può comunque perdonare all’autore questa mancanza, poiché nel loro complesso i disegni sono funzionali alla storia narrata e quest’ultima resta godibile.

In conclusione, Il cane che guarda la stelle è un manga scorrevole, toccante e poetico, che celebra senza retorica la fedeltà dei cani e la loro purezza d’animo. Cosa abbastanza rara per un fumetto giapponese, il volume è disponibile anche in una cover variant: realizzata appositamente per le librerie Mondadori, è opera dell’artista italiana Elisa Macellari.