MORS TUA VITA MEA: LO SPOGLIATOIO DI TIMOTHÉ LE BOUCHER

Il fumetto di Thimothé Le Boucher non ci gira troppo attorno: già dal titolo Lo spogliatoio – Il bullismo nella scuola abbiamo un’idea immediata dell’argomento centrale e del luogo in cui si svolgono i fatti narrati. I racconti che parlano del bullismo scolastico sono molti (disegnati e non), tuttavia l’autore ha scelto un approccio interessante. La storia è interamente ambientata nello spogliatoio che dà il titolo all’opera, dove i ragazzi di una classe si ritrovano ogni giovedì per la lezione di educazione fisica.

Difficilmente si sarebbe potuto trovare un palcoscenico più azzeccato. Le dinamiche del branco si manifestano senza filtri, in uno scenario opprimente dove insicurezze e fragilità del singolo sono letteralmente messe a nudo sotto gli occhi di tutti. A farne maggiormente le spese è Cosimo: preso di mira dai compagni per via del suo sovrappeso, è la vittima prediletta per feroci prese in giro e scherzi crudeli, istigati spesso da Leon che è invece il “capo” della classe. Tanto più quest’ultimo è popolare, tanto più Cosimo si ritrova isolato senza scampo nella sua condizione di paria.

In tutto ciò lo sguardo del narratore è imparziale, come se si limitasse ad assistere allo scontro senza prendere le parti di nessuno. Non c’è una divisione tra buoni e cattivi, quanto piuttosto tra chi sottomette e chi viene sottomesso. Eppure la gerarchia del gruppo, anche se basata su fattori individuali e sociali ben definiti, non è immutabile; basta un minimo cambiamento per stravolgere gli equilibri e far sì che i ruoli si invertano da un momento all’altro.

È interessante notare come Lo spogliatoio sia un racconto corale, non focalizzato su un singolo punto di vista. A parte i già citati Cosimo e Leon, infatti, anche gli altri maschi della classe intervengono in ugual misura, fornendo uno spaccato dettagliato di questo microcosmo. Vediamo così come in certe situazioni c’è chi resta neutrale, chi si unisce per divertimento, chi si adegua per non diventare la prossima vittima. Ciò porta a un altro punto forte dell’opera, l’onestà: l’autore illustra in modo graffiante e realistico la vita di una qualunque classe di adolescenti, senza fronzoli né retorica. I dialoghi fra i ragazzi sono credibili, così come le interazioni tra i vari gruppetti e i singoli che li compongono.

Come già accennato, il fatto che la storia si svolga dall’inizio alla fine in uno spogliatoio amplifica il senso di ansia generale, anche grazie alle scelte di Le Boucher per quanto riguarda l’aspetto grafico. Gli sfondi sono essenziali – si potrebbe dire nudi, restando in tema –, gli spazi tracciati in poche linee nette dalla precisione geometrica. I personaggi, sebbene anch’essi raffigurati con lineamenti per nulla dettagliati, hanno dei tratti che li rendono riconoscibili e ne lasciano intravedere in qualche modo il carattere, specie grazie all’uso del linguaggio del corpo. I colori sono scuri; la scarsa luce degli ambienti è quella che filtra dalle finestre, dalle porte aperte o dai fori delle serrature che, a seconda dei casi, sono delle feritoie da cui si spia o dalle quali si viene spiati.

Campi medi, primi piani e dettagli si alternano continuamente e sfruttano appieno anche i momenti di silenzio. A proposito di silenzio, si fa notare la quasi totale assenza di onomatopee, in accordo con il minimalismo del tratto e dei dialoghi; le scritte, laddove presenti, sono associate a rumori secchi e gesti bruschi. Le rare volte in cui s’intravede qualche squarcio del “mondo esterno” è sempre da dentro lo spogliatoio, attraverso i vetri smerigliati: vignette sfocate, nebulose, che rafforzano l’impressione di trovarsi all’interno di una bolla circoscritta dove ciò che avviene fuori non ha importanza. L’unica legge che conta al suo interno, dopotutto, è quella del branco.

Lo spogliatoio è un fumetto schietto e brutale, come solo l’adolescenza a volte sa essere. Affronta il fenomeno del bullismo senza accusare né assolvere nessuno, e com’è facile immaginare non punta a un lieto fine o a una redenzione. Lo si potrebbe definire un racconto cinico, che mette il lettore davanti a una realtà scomoda: rispetto alle storie di fantasia, nella vita reale è più raro che ci siano buoni e cattivi separati da una netta linea di demarcazione. A seconda delle circostanze e di ciò che più ci conviene siamo tutti potenziali carnefici, vittime e testimoni più o meno impassibili.

Personalmente non mi trovo del tutto d’accordo con la ferocia di De Boucher. Se è vero che la violenza verbale o fisica generi quasi sempre altra violenza, ci sono anche persone che reagiscono dimostrandosi migliori dei bulli che le tormentano, o che hanno il coraggio di schierarsi dalla parte dei più deboli. Tuttavia, non posso negare che il suo sia un punto di vista interessante ed esposto con notevole precisione. Sarebbe inoltre scorretto definire i suoi personaggi privi d’empatia: è un sentimento che trova poco spazio nella giungla zeppa di testosterone in cui sono calati i protagonisti, e per questo si manifesta in modo goffo e incerto. Nello spogliatoio si stabilisce una specie di cameratismo, che a tratti unisce anche i soggetti più improbabili.

[Articolo pubblicato su Lo Spazio Bianco il 22/12/2020]