STORIA DI UNA VITA: MACARONI!

Quand’eravate ragazzini vi è mai capitato, in estate, di essere spediti in qualche posto dai vostri genitori senza che foste d’accordo sulla cosa? Se la risposta è sì potete capire il punto di vista di Roméo, costretto a passare una settimana di vacanza in un paesino del Belgio, a casa del nonno paterno Ottavio.

Roméo ha undici anni e conosce a stento quell’uomo burbero da lui soprannominato “vecchio rompiscatole”, che lo obbliga a svegliarsi presto per aiutarlo nell’orto di casa: l’idea di rimanere tutti quei giorni con una simile compagnia, per di più in un posto senza la televisione, non gli piace nemmeno un po’.

Superata l’ostilità iniziale, però, il ragazzo prova timidamente a farsi raccontare la storia della vita di suo nonno e pian piano scopre che quel carattere arcigno è stato forgiato da anni di stenti, fatica e rabbia.

Con Macaroni! Thomas Campi e Vincent Zabus articolano il concetto della trasmissione della memoria su due livelli. Roméo è un ragazzo che si interroga sul passato della sua famiglia, fa domande, diventa il custode di una testimonianza risalente ad anni lontani. Difficile non identificarsi in lui, non tornare con la mente alle volte in cui parliamo o abbiamo parlato con i nostri nonni, desiderosi di portare alla luce quelle radici che in qualche modo ci hanno formato senza che ne fossimo consapevoli.

D’altro canto, quella del nonno di Roméo è una storia che in un certo senso ci riguarda tutti: Ottavio, infatti, è uno dei tanti italiani emigrati in Belgio nel dopoguerra per fare i minatori. Un lavoro già durissimo di suo, cui si aggiungeva il fatto di essere stranieri in terra straniera. “Lo sai come ci chiamava la gente di qui, quando siamo arrivati? I macaronì…”, ricorda amaramente il vecchio. A quei tempi le vite dei nostri connazionali erano segnate dalla fatica, dal pregiudizio e dalla miseria. E ora per noi, come per Roméo, è difficile anche solo immaginare cosa abbiano passato. Per questo è necessario che la storia si tramandi: Ottavio, suo figlio e suo nipote simboleggiano l’intreccio di tre generazioni, l’importanza della memoria collettiva che sopravvive anche attraverso i racconti familiari. Tant’è che nel 2016, in Belgio, Macaroni! ha vinto il Prix Cognito come miglior fumetto a carattere storico.

Come molte buone storie, quella di Macaroni! ha più di un fondo di verità: Vincent Zabus si è infatti ispirato ai racconti di un’amica sulla vita del padre. Come lui stesso scrive nella nutrita appendice alla fine del volume, la storia movimentata e toccante del vero Ottavio Rossetto l’ha spinto ad approfondire un periodo storico del suo paese, ancora oggi abitato da una moltitudine di discendenti degli immigrati italiani. Gente che scappava da un paese ridotto alla fame, in cerca di fortuna, divenuta un vero e proprio oggetto di scambio fra due governi: in Belgio mancava la manodopera per l’estrazione del carbone mentre in Italia scarseggiava il lavoro, e fu così che i due paesi siglarono un accordo che prevedeva il trasferimento di migliaia di lavoratori giovani e in salute in cambio di una certa quantità di carbone (ma quest’ultimo aspetto non è citato nel fumetto, concentrato su una vicenda più personale).

La sceneggiatura ha un taglio realistico: le situazioni proposte sono di vita quotidiana, i dialoghi sono scorrevoli e, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da un’opera di questo genere, non si ricorre a salti temporali attraverso i flashback. Il lettore assiste ai racconti di Ottavio come fa Roméo, ascoltando le sue parole. Gli unici spiragli che permettono di “vedere” qualcosa del passato del vecchio sono le vaghe ombre che gli appaiono nei momenti di solitudine, echi lontani e quasi indistinti. Una scelta inusuale, in un fumetto, per raccontare eventi lontani nel tempo rispetto al presente della narrazione, ma in questo caso efficace poiché permette di immedesimarsi ulteriormente nel ragazzo senza annoiare il lettore: gli aneddoti di Ottavio sono infatti brevi e distanziati tra loro, perciò non vi sono lunghi monologhi.

Tuttavia, nel caso in cui ci si approcciasse all’opera con l’intenzione di approfondire maggiormente le condizioni di vita dei minatori e il contesto storico dell’epoca, si potrebbe rimanere delusi perché le miniere e gli uomini che vi lavoravano sono solo visioni fugaci: il resto va ricavato dai racconti del nonno del protagonista.

I disegni di Thomas Campi accentuano il realismo della storia. Caratterizzati da un tratto sottile, sono ben studiati e ricchi di dettagli: soprattutto gli oggetti danno un’impressione di verosimiglianza, come si può vedere nella casa di Ottavio. I particolari dei vecchi mobili ci fanno intuire immediatamente di essere nell’abitazione di una persona anziana, ancor prima che il suo inquilino faccia capolino dalla porta d’ingresso scrutandoci sospettoso; a tal proposito i primi piani, felicemente usati per sottolineare le emozioni dei personaggi, sono frequenti. I colori caldi e luminosi, più che al Belgio, fanno pensare a quell’Italia cui Ottavio ripensa spesso con nostalgia. Il sapiente uso degli acquerelli si nota anche nel modo credibile in cui Campi rende luci e ombre. In tutto ciò, risalta il contrasto con le ombre del passato citate poco fa, eteree come fumo.

Un altro apparente contrasto è quello tra l’accuratezza degli sfondi e i visi dei personaggi, che a una prima impressione sembrano più semplici e abbozzati. Guardando meglio, ci si accorge che la differenza sta nell’età dei soggetti: la resa stilizzata – benché espressiva – dei volti di Roméo e Lucie, la figlia dei vicini con cui il protagonista fa amicizia, serve a evidenziarne la gioventù e la freschezza e si contrappone all’aspetto di Ottavio. La faccia dell’uomo è ricca di rughe e dettagli (il grosso naso e il cipiglio severo contribuiscono a dargli carattere), la storia della sua vita vi è rimasta impressa. Viene da pensare a quando il nonno brontola fra sé dopo aver visto le mani del nipote, morbide e delicate: “Sono mani che non hanno mai lavorato… Non so proprio cosa possiamo farci con quelle”. Al pari delle sue mani, che “non hanno mai lavorato” e non recano tracce particolari, il volto di Roméo è come un foglio bianco sul quale deve ancora disegnarsi una storia. In effetti suo padre Fabrizio, essendo un adulto, è la perfetta via di mezzo tra i due estremi: la sua faccia è più segnata di quella di Roméo, ma non quanto quella di Ottavio.

In questo volume scrittura e illustrazioni si uniscono in modo armonioso, e il risultato è un racconto poetico e malinconico fatto di personaggi concreti, con emozioni reali: la rabbia e il rimpianto di Ottavio; le preoccupazioni di Fabrizio; lo spettro più ampio e variabile di Roméo che, essendo ancora piccolo, passa facilmente dalla tristezza alla gioia o dalla rabbia alla curiosità. Una gamma di personaggi e situazioni coinvolgenti, perché offrono uno spaccato di vita in cui ci si può riconoscere ad ogni età, sia se si è nonni sia se si è nipoti.

In conclusione, vale la pena ripetere che Macaroni! ha in sé un pezzetto della nostra storia, rievocando uno di quei periodi in cui gli italiani erano gli stranieri, i diversi. Se oggi andando all’estero ci sentiamo rivolgere un più soft “italiani, pizza, mafia e mandolino”, in passato il pregiudizio si esternava con epiteti –  e atteggiamenti –  ben peggiori. Leggere il fumetto di Campi e Zabus non solo può riportare alla nostra mente episodi ormai quasi dimenticati (in Belgio avvenne anche il disastro di Marcinelle, nel quale persero la vita ben 136 italiani, eppure presto potrebbero essere in pochi a serbarne memoria), ma può anche ricordarci che una volta i migranti eravamo noi. Non fa mai male ripensarci, specie in un periodo come questo.

[Articolo pubblicato su Lo Spazio Bianco il 11/05/2018]