FRAMMENTI DI VITA VISSUTA: “BLUES FOR LADY DAY”

Voce leggendaria del jazz e del blues, Billie Holiday ha avuto una vita breve ma intensa e tormentata. Considerati il suo talento, l’influenza che ha esercitato su molti altri artisti e il fascino ispirato dalla sua figura fragile e passionale allo stesso tempo, non stupisce l’esistenza di una nutrita bibliografia che la riguarda (a cominciare da Lady Sings the Blues, la sua autobiografia scritta in collaborazione col giornalista William Dufty, il quale ne è di fatto il vero autore). Anche Paolo Parisi è stato ammaliato da questa donna straordinaria e le ha dedicato il suo Blues for Lady Day, storia a fumetti che ne ripercorre la vita attraverso brevi episodi.

Billie Holiday nasce come Eleanora Fagan a Philadelphia nell’aprile 1915, frutto di una relazione extraconiugale. Sua madre, Sadie Fagan, ha appena tredici anni quando la mette al mondo. Nonostante versi in condizioni di estrema povertà, è lei a occuparsi della bambina: il padre di Billie, il chitarrista Clarence Holiday, lascia presto entrambe per seguire la sua carriera di artista itinerante.
L’infanzia di Billie è durissima: fin da piccola conosce la miseria, l’abbandono, la violenza. Dopo qualche anno passato a Baltimora, affidata a dei parenti, raggiunge la madre che fa la domestica a New York. Costretta a lavorare in un bordello, viene arrestata poco dopo per prostituzione; una volta scontata la pena cerca un impiego negli innumerevoli locali notturni di Harlem. Notata nel 1933 dal produttore discografico John Hammond, Billie inizia la dura gavetta nel mondo dello star system. Col passare del tempo arrivano i primi contratti con importanti case discografiche e le collaborazioni con mostri sacri quali Count Basie, Artie Shaw e Lester Young.

In seguito, gravi crisi personali portano la Holiday ad abusare di alcool e droga, dilapidando cifre ingenti. La dipendenza da oppio ed eroina, oltre a indebolire la sua voce, la fa anche finire in galera più volte. Eppure non mancano sfolgoranti trionfi artistici, come i suoi concerti sold-out alla Carnegie Hall e la tournée in Europa nel ’54 (per citarne solo alcuni).
Purtroppo le condizioni fisiche della cantante peggiorano sempre più, nonostante i suoi tentativi di disintossicarsi. Il 31 maggio 1959 viene trovata incosciente nel suo appartamento di New York e portata in ospedale, dov’è piantonata dalla polizia per l’intera degenza poiché è stata rinvenuta della droga nella sua stanza. È qui che Billie Holiday muore il 17 luglio, compiendo la sua drammatica uscita di scena.

Il fumetto di Paolo Parisi è concepito come un blues: vi sono un’intro e un’outro, cioè l’introduzione e l’epilogo, e i vari capitoli hanno come titolo alcuni dei brani della cantante. “Non canto mai lo stesso blues due volte allo stesso modo, non tengo mai lo stesso ritmo. La prima sera il ritmo è un po’ più lento, la sera successiva è più veloce. Dipende dal mio stato d’animo.”; nelle parole di Billie Holiday si trova la struttura dell’intero racconto: i capitoli sono tutti piuttosto brevi, ma non hanno una lunghezza definita. Per lo più la voce narrante è quella della protagonista, anche se non mancano passaggi con punti di vista differenti. Gli eventi non sono sempre disposti in ordine cronologico, ma anzi ci sono dei salti temporali.

Parisi preferisce un approccio più sfumato e poetico a quello strettamente biografico, ma se da un lato questa sua finezza è apprezzabile in certi passaggi (come il delicato epilogo), dall’altro rischia di lasciare il lettore insoddisfatto per questo mantenersi sempre sul vago: pur toccando le tappe fondamentali della vita di Billie Holiday – la miseria della gioventù, la mancanza del padre che la segnò a vita, gli amori sofferti che non seppero mai darle una serenità duratura – non si addentra mai troppo nei particolari.

L’infanzia e la prima giovinezza della protagonista sono riassunte in poche righe di didascalia, e lo stesso vale per i primi anni della sua carriera. Eleanora Fagan ha dovuto superare molte sfide per diventare Billie Holiday: nata al di fuori del matrimonio, cresciuta in condizioni terribili, ex prostituta, si è poi trovata ad affrontare le difficoltà dell’essere la prima donna di colore a cantare con artisti bianchi. Per entrare negli alberghi dove si esibiva con la band di Artie Shaw, ad esempio, era costretta a passare dall’ingresso sul retro. Paradossalmente, il colore della pelle le causò problemi anche quando si trovò a cantare in mezzo ad altri artisti afroamericani: più volte dovette scurirsi il volto con il trucco perché il suo incarnato più chiaro, sotto ai riflettori, sarebbe risaltato in mezzo altri.

Alla luce di questi e altri episodi di discriminazione (accennati ma non mostrati nel fumetto), si possono comprendere ancora meglio i sentimenti della diva nel cantare una delle sue canzoni più famose, Strange Fruit, brano di denuncia dei linciaggi dei neri nel Sud degli Stati Uniti che è diventato una pietra miliare per il movimento dei diritti civili. Ovviamente in Blues for Lady Day vi è un capitolo dedicato alla canzone, ma a causa della sua brevità non può focalizzarsi anche sulle conseguenze che Strange Fruit ebbe a livello sociale, diventando motivo di scandalo ma allo stesso tempo portando all’attenzione delle masse l’orrore del razzismo.

La scelta di sorvolare o liquidare rapidamente avvenimenti come questi consegna al lettore un testo che dice poco a coloro che ancora non conoscono Billie Holiday, e difficilmente aggiunge qualcosa di nuovo per quelli che già la amano. Tuttavia le note a margine, la bibliografia e la discografia essenziale compensano in parte questa mancanza, spingendo a scoprirne di più.

I disegni, come si può già vedere dalla notevole copertina del volume Coconino, sono ben curati. Il tratto pulito ed elegante aiuta a calarsi nell’atmosfera del passato, tra le strade e i locali notturni di New York. Attingendo a immagini autentiche della star, Parisi cerca di mettere su carta il suo fascino leggendario, la bellezza languida della dea che canta con fiori di gardenia tra i capelli o l’aria malinconica immortalata dal fotografo Carl Van Vechten, e lo fa con buoni risultati.
Ciò che più colpisce, dello stile dell’opera, è la sua impostazione “fotografica”. Le vignette dai toni grigi sembrano un insieme di istantanee, e danno nel complesso l’idea di un fotoromanzo. Benché questa scelta si sposi bene con lo stile retrò dell’ambientazione, alla lunga finisce per dare una sensazione di staticità e asetticità, accentuate dalla tendenza dell’autore a glissare sugli aspetti più intensi e drammatici della vita di Billie Holiday, preferendo stemperare tale drammaticità in una pacata tristezza.

Blues for Lady Day è un omaggio sicuramente sentito alla donna che è diventata un’icona del jazz e del blues, ma rischia di perdersi in mezzo a tanti altri capaci di celebrarla in maniera più completa, anche se più ruvida (a tal proposito vale la pena di ricordare Billie Holiday, biografia romanzata ad opera dell’affiatata coppia di artisti argentini Carlos Sampayo e José Muñoz). D’altronde sembra impossibile parlare di Billie Holiday senza guardare in profondità nei lati tragici e struggenti che l’hanno resa l’artista ricordata ancora oggi, e il fumetto di Parisi gratta appena sotto la superficie.

[Articolo pubblicato su Lo Spazio Bianco il 6/09/2017]