IL TRIONFO DEL MINIMALISMO: “FUGGIRE” DI GUY DELISLE

“Sono stato rapito la notte tra l’1 e il 2 luglio”. A parlare è Cristophe André, che nel 1997 si trova nel Caucaso come membro di Medici Senza Frontiere. È lì da tre mesi quando un gruppo di miliziani ceceni fa irruzione nella sua stanza, lo trascina fuori dal letto e lo costringe a salire su un’auto. Inizia così la sua prigionia, durata ben 111 giorni. In Fuggire – Memorie di un ostaggio, Guy Delisle assembla minuziosamente i pezzi della storia di Christhope e la ripropone al lettore tramite la voce del protagonista, così come gli è stata raccontata. Una storia di vita vissuta, tanto semplice quanto angosciante.

La stanza in cui l’uomo viene confinato è spoglia: una lampadina che pende da un filo del soffitto, un materasso steso sul pavimento e un termosifone al quale il prigioniero è ammanettato quasi sempre, giorno e notte. L’unica finestra è sbarrata da assi di legno. Ad acuire la schiacciante situazione d’isolamento di Cristophe, c’è il fatto di non conoscere la lingua dei suoi rapitori. Rinchiuso tra quattro pareti, non ha modo di sapere cosa succede nel mondo esterno né per quanto rimarrà bloccato lì. Col passare del tempo, il cauto ottimismo iniziale deve fare i conti con la noia di giornate sempre uguali tra incertezza, frustrazione e privazioni. Nonostante ciò, Cristophe mantiene vive con tenacia la lucidità e la speranza di uscire fuori dalla bruttissima situazione in cui è incappato, colpevole solo di essere capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Come giustamente si trova a riflettere, immerso nei suoi pensieri, “Essere ostaggi è peggio che essere in prigione. Almeno in prigione sai perché sei rinchiuso, il giorno in cui uscirai…”.

Con Fuggire, Guy Delisle non solo si discosta dal genere autobiografico e di reportage delle sue opere più celebri come Pyongyang e Cronache di Gerusalemme, ma si cimenta in una sfida ardua. Non è semplice rappresentare una storia per lo più “statica”, in cui il protagonista interagisce raramente con gli altri personaggi ed è costretto a tornare ossessivamente sui suoi pensieri, senza annoiare il lettore; tanto più se quest’ultimo si trova nell’insolita situazione di approcciarsi alla vicenda conoscendone già l’esito. Tuttavia, grazie agli efficaci espedienti utilizzati dall’autore, le oltre quattrocento pagine del libro scorrono senza particolare fatica, anche mediante la sua non comune capacità di inserire con naturalezza tocchi di leggerezza e ironia nelle situazioni più impensate.

Come già detto, l’unico punto di vista è quello di Cristophe, che narra in prima persona quanto gli succede. Escluso il primo capitolo in cui parla al passato, dando il senso di qualcosa ormai concluso (“Ero andato a letto presto, quella sera…”, ricorda, È successo tutto in fretta.”), nei successivi il tempo usato è il presente (“Ho dormito poco, mi risveglio con il sole.”). Questo brusco cambiamento fa sì che il lettore s’immedesimi all’istante con l’ostaggio, vivendo l’esperienza attraverso i suoi occhi. Altro elemento importante è il continuo scandire dei giorni di Cristophe, che si aggrappa con tutte le sue forze all’unica cosa di cui è certo: lo scorrere del tempo. Quest’ultimo è sottolineato dal fatto che ogni capitolo, al posto del titolo, riporti il numero del giorno di prigionia. A volte si susseguono più giornate consecutive, a volte ci sono salti di diversi giorni.

La scelta dei colori enfatizza l’atmosfera del racconto: un alternarsi di grigi chiari e scuri, a segnare il passaggio fra giorno e notte. I disegni, benché diversi dal tratto stilizzato che è il marchio di fabbrica di Delisle, sono essenziali e risultano appropriati per rappresentare la spartana prigione di Cristophe. Particolarmente azzeccata è la scelta di “riempire” le vignette prive di sfondi con i pensieri del protagonista, evitando di rinchiuderli nei confini di balloon e riquadri. Inoltre, il fatto che i personaggi siano privi di fisionomie dettagliate sposa bene con un’altra particolarità della storia: la sostanziale banalità dei rapitori. Personaggi inevitabilmente minacciosi, data la situazione, ma di per sé insignificanti; non i mostri o gli uomini neri che potremmo immaginare a priori. Nel complesso, non vi è un giudizio morale troppo marcato nei loro confronti: più che crudeli, sembrano ottusi.

Fuggire – Memorie di un ostaggio è un fumetto ben studiato, atipico e sorprendente. Per di più Guy Delisle riesce anche nell’impresa di dargli un finale emozionante e imprevedibile, liberatorio nel vero senso della parola. Di certo non è letteratura di consumo, ma il tema e la mole del volume sono ostacoli facilmente superabili.

[Articolo pubblicato su Lo Spazio Bianco il 21/06/2017]